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  • Zio Paperone e "l'occhio di zampirone"
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Zio Paperone e "l'occhio di zampirone" è una storia scritta da Rodolfo Cimino, disegnata e inchiostrata da Giorgio Cavazzano, pubblicata per la prima volta in Italia il 14 febbraio 1971 su Topolino 794.

Trama[]

A Paperopoli si avvicina il tempo delle vacanze, e Paperino teme a ragione che lo zio Paperone voglia coinvolgere lui e Qui, Quo, Qua in una ricerca di qualche misterioso tesoro. Così in effetti avviene, e il ricco papero costringe i nipoti a seguirlo nell'Alto Tibet, dove secondo lui si trova un preziosissimo rubino noto come "l'occhio di zampirone".

I cinque partono a bordo di uno scalcinato aereo guidato da Paperone stesso. Il pilota in realtà conosce il Tibet meno di quanto sostiene, e dopo un rocambolesco atterraggio di fortuna i paperi si trovano col velivolo distrutto e abbandonati fra le montagne, senza traccia di civilizzazione nei paraggi. In seguito a una serie di esplorazioni, vengono trasportati da una corrente sotterranea in una vallata illuminata da una strana luce rossastra, proveniente da un faro su cui è montata una pietra che brilla di luce propria.

I primi autoctoni con cui i paperi vengono a contatto appaiono inoffensivi, ma piuttosto tardi nelle reazioni. Le cose cambiano quando si avvicinano tre tipi dall'apparenza molto più sveglia, che non gradiscono la presenza di estranei. Alla piccata replica di Paperone i cinque vengono chiusi in cella e assegnati ai lavori forzati perpetui. Per di più, nella cella è impossibile dormire perché la luce rossastra - proveniente dalla gemma che è effettivamente l'"occhio di zampirone" che Paperone cercava - è troppo forte e penetrante e le finestre non hanno schermi di sorta. La situazione diviene chiara al lettore: i tre tipi loschi, fratelli fra loro, sono discendenti dei banditi che secoli prima rubarono la pietra preziosa, e di generazione in generazione la loro stirpe ne ha sfruttato il singolare potere ipnotico per ridurre al torpore e alla rassegnazione perenne il popolo della valle, che è obbligato a lavorare per loro senza soste e a estrarre grandi quantità di diamanti per loro conto.

L'indomani Paperino e i nipotini, non essendo riusciti a chiudere occhio, si avviano ai lavori sopraffatti dalla stanchezza, ma Paperone, più abituato a una vita avventurosa, è ancora lucido e riesce a spiegarsi l'accaduto. La notte successiva il magnate riesce a permettere ai nipoti un salutare sonno tappando i loro occhi con l'argilla del suolo, e il giorno seguente i cinque riescono a elaborare un piano. Fingendo di essere ancora storditi per l'effetto del rubino, attirano a sé i capi e li mettono fuori combattimento con i magli da lavoro. Paperone piccona vigorosamente il pilastro che funge da faro per l'"occhio di zampirone", si impossessa della pietra, e tutti e cinque si danno alla fuga.

Poco dopo i paperi si accorgono di essere inseguiti e temono il peggio, ma si tratta solo dei valligiani, ora coscientemente liberi dal pesante condizionamento e grati agli stranieri di aver posto fine al loro sfruttamento. I locali offrono come ringraziamento a Paperone i diamanti già accaparrati dai tiranni, ma il multimiliardario preferisce tenere con sé solo il rubino. Accettato il patto, i paperi si congedano e cercano sereni la strada per tornare alla civiltà.

Tempo dopo, Paperone illustra ai nipoti il suo piano. Ha rinunciato, a suo tempo, ai più preziosi diamanti solo perché intende sfruttare l'"occhio di zampirone" in modo simile ai tiranni del Tibet: ossia, mettere il rubino in posizione strategica presso una delle sue miniere, in modo che i minatori residenti ne risultino inebetiti e lavorino di più senza ribellarsi. Malgrado lo sdegno di Paperino e di Qui, Quo, Qua, il ricco papero prova ad attuare questo progetto, ma senza risultato. Infatti, i minatori, non riuscendo a dormire per la luce accecante, si rifugiano nell'interno della miniera non per lavorare ma per recuperare il sonno perduto; il rubino, benché continui a emettere luce, sembra comunque aver perso ogni potere ipnotico. La miniera va drammaticamente in perdita per la mancanza di manodopera.

Chiamati a consolare la disperazione dello Zione i nipotini, con l'aiuto del Manuale delle Giovani Marmotte, tentano una spiegazione: il rubino, dopo essere stato toccato dalle mani avide di Paperone, non è più in grado di soggiogare nessuno, come se si ribellasse per sua natura a un fine ingiusto; quanto ai tiranni tibetani, ne avevano sfruttato i poteri senza mai toccarlo direttamente. Paperone tutto sommato rimane soddisfatto: gli rimane una gemma di enorme valore, e commenta che in definitiva usare mezzi illeciti gli avrebbe tolto il gusto della lotta per la riuscita negli affari.

Analisi[]

Zio Paperone e "l'occhio di zampirone" merita di essere annoverata fra i classici della produzione di Cimino degli anni '60-'70, contenendo motivi molto tipici dello sceneggiatore friulano: la ricerca del tesoro e i contatti con lo strano popolo, l'oggetto dotato di proprietà soprannaturali e tuttavia quasi in grado di reagire se si tenta di sfruttarlo per fini illeciti.

Abbastanza insolita, tuttavia, è la commistione fra lo schema del " viaggio con caccia al tesoro" che occupa la prima parte, e l'evoluzione della vicenda a Paperopoli, in cui Paperone tenta senza alcuno scrupolo di utilizzare il tesoro che ha ottenuto meritatamente per lo sfruttamento dei suoi operai, pur andando poi incontro a un inevitabile scacco. Fra le righe si può leggere anche una lezione morale più complessa, con denuncia della società industriale in cui i capitalisti ottengono i loro fini facendo leva anche su varie forme di "oppio dei popoli", simboleggiati nella vicenda dei paperi dall'inquietante rubino.

Fra i punti deboli della trama si può invece notare una certa indeterminazione nelle motivazioni dei personaggi (i tiranni accumulano diamanti per un non meglio identificato "trionfo della delinquenza") o nella definizione dei rapporti causa-effetto, in particolare riguardo ai poteri del rubino stesso; e il Manuale delle Giovani Marmotte, chiamato in causa per risolvere qualunque dubbio, finisce per rappresentare un espediente narrativo un po' troppo di comodo; si tratta comunque di aspetti abbastanza costanti nella produzione di Cimino.

Forse grazie anche alla complessità dei temi trattati, la storia figura in posizione piuttosto elevata nella graduatoria di gradimento INDUCKS (al 410° posto su 40.536 nel marzo 2021).

Curiosità[]

  • Nella prima parte della vicenda Paperone afferma di essere già stato in Tibet nel 1872; circostanza non facile da spiegare razionalmente, in quanto la storia è del 1971 e ammettendo il punto di vista "presente" dei lettori dell'epoca, Paperone, essendo già adulto 99 anni prima, dovrebbe avere almeno 120 anni (né avrebbe molto senso cercare di accordare il dato con la cronologia proposta da Don Rosa, secondo la quale, comunque, nel 1872 il futuro magnate avrebbe avuto solo cinque anni). Si può pensare che Paperone abbia citato un anno esageratamente remoto solo per impressionare i nipoti; o più semplicemente che lo sceneggiatore non si sia posto il problema della credibilità cronologica.
  • Nella storia non appare nessun personaggio femminile (anche del popolo tibetano vengono raffigurati solo abitanti maschi).

Pubblicazioni[]

La storia è stata edita sette volte in Italia:

Inoltre, è stata tradotta e pubblicata in Austria, Brasile, Cile, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Olanda e Portogallo.

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