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  • Topolino e la valle dei fantasmi
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Topolino e la valle dei fantasmi è una storia scritta da Guido Martina e disegnata da Giuseppe Perego, pubblicata per la prima volta sul numero 55025 degli Albi d'Oro del giugno 1955.

Trama[]

Topolino e Pippo in piena notte alla luce di due lanterne stanno raggiungendo un castello che si dice infestato da spettri: tale lugubre fama ha allontanato dalla valle la gente del posto e i turisti, perciò Basettoni ha incaricato Topolino di far luce sul mistero.

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Giunti al piccolo lago davanti al castello, devono attraversarlo in barca; Pippo è ai remi, ma uno di essi si spezza e l'improvvisato nocchiero deve procedere con un remo solo, come in gondola; riesce a raggiungere la sponda, ma il remo si conficca nel fondale e Pippo vi rimane appeso. Topolino accorrre a salvarlo, ma non può evitare tuttavia che il malcapitato si bagni completamente e si prenda pure una testata sul fondo del lago, contro qualcosa di molto duro.
I due arrivano al portone del castello; Pippo vorrebbe suonare, ma viene fermato dall'amico: è fondamentale per l'esito dell'impresa che la loro presenza non sia notata. Quindi Topolino va a cercare una finestra aperta, raccomandando a Pippo di rimanere davanti all'ingresso, ma la sua indicazione non viene tenuta in conto: Pippo spinge la portina nell'anta del portone e la apre senza sforzo; si trova in una sala arredata di armi e armature, riceve un saluto da una sorta di pupazzo che esce da una scatola e poi va a cercare una finestra per far entrare il compagno…

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Topolino però è già dentro e i due stanno per confrontarsi quando improvvisamente le luci si spengono e compare un fantasma avvolto in un lenzuolo bianco, che parla in rima e odora di muffa, poi vola minaccioso verso i nuovi arrivati con una lanterna accesa. Pippo è terrorizzato, ma Topolino no: afferra la lancia di una delle armature per difendersi, viene salutato dal solito pupazzo e si scontra con un altro fantasma armato di spadone, fantasma che risulta però essere Pippo: finito dietro una parete girevole, è stato ricoperto con un lenzuolo e preso a calci da qualcuno. Il mistero si infittisce ed arriva pure, accompagnato da scoppiettii e suoni di trombette, un altro fantasma armato di padelle. I due fuggono su per una scala i cui gradini però si chiudono a formare uno scivolo e portano Topolino e Pippo al cospetto di un uomo anziano, seduto su una specie di trono; al suo fianco c'è Kalimur, un energumeno con in capo un turbante e dall'aria pericolosa.

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L'uomo sul trono, Magnetius, è il proprietario del castello, da lui acquistato nel 1754 e mai abbandonato, ed ora ha intenzione di eliminare i due intrusi: poiché però gli è venuto mal di testa, prega Kalimur di provvedere e costui stacca la testa del padrone per andarla a rinfrescare. Topolino vuole esaminare il troncone senza testa, ma una botola si apre sotto i suoi piedi e con l'amico precipita in un pozzo dalle pareti lisce; da una grata sul pavimento comincia a salire l'acqua e la situazione sembra senza scampo.

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Topolino tenta con lo spadone di Pippo di divellere la grata per poi cercare la fuga attraverso il canale sotterraneo dal quale arriva l'acqua; riesce nell'impresa, i due si tuffano e riemergono stremati presso la riva del lago, nel punto dove Pippo ha battuto la testa, in corrispondenza del solido condotto sotterraneo.
Topolino ormai ha intuito la verità: alcuni banditi hanno preso possesso del castello -dove svolgono attività illecite- e spaventano le persone travestiti da spettri. Il pupazzo parlante, i fantasmi, Magnetius senza testa sono tutti manichini variamente azionati e la voce di Magnetius è data dal ventriloquo Kalimur. Ora che sono creduti morti, però, Topolino e Pippo possono andare alla ricerca dei furfanti: il Magnetius vero e vivo e l'indiano Kalimur.

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Costoro, carichi di valigie, stanno fuggendo dopo aver distrutto le tracce delle loro attività clandestine e ad alta voce si compiacciono del loro operato; Kalimur assapora il compenso che riceverà dal suo governo, ma Topolino e Pippo sono in ascolto dietro un lenzuolo e il primo intuisce che c'è solo una sostanza che una potenza straniera pagherebbe molto caro: l'uranio, un giacimento del quale i due lestofanti devono aver trovato nella valle e sfruttato, raffinando l'uranio nel castello. I due amici, inseguendo non visti i delinquenti in fuga, escono sul tetto del castello dove, tra i merli, molte lenzuola sono stese: queste cominciano a ondeggiare e a emettere parole, una filastrocca: «… e poiché siamo arcistufi d'esser merli, per incanto PUFF! PUFF! noi ci trasformiam in gufi intonando il nostro canto…UFF! UFF! UFFF!!». Poi si alza una cortina fumogena. Ma ancora una volta Topolino ha capito: lenzuola e fumo servono a nascondere l'elicottero sul quale i due bricconi tentano di fuggire. Topolino trova una corda uncinata, aggancia l'elicottero a un merlo e lo blocca, sempre non visto dai fuggitivi. Costoro credono di essere stati fermati dal vento, potenziano il motore e così il piano del velivolo si stacca dalla cabina e i due precipitano a terra, perdendo i sensi. Topolino verifica la presenza dell'uranio nelle valigie ed è soddisfatto di aver risolto il mistero della valle, mentre Pippo si traveste ancora da fantasma: nel caso se ne presentasse qualcuno, si spaccerebbe per suo collega…

Analisi[]

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La storia è stata pubblicata, secondo Inducks[1], solo due volte e solo in Italia, nonostante sia una vicenda noir di una certa forza nella sceneggiatura e soprattutto nei disegni: fantasmi, lenzuola al vento, stanze buie e lugubri e, in una vignetta dai contorni irregolari, una visione di scorcio delle scale interne che, se non sono «impossibili» come quelle di Escher, appaiono tuttavia scomodamente ardite. Le atmosfere, le ambientazioni ed alcune situazioni della storia potrebbero aver ispirato la successiva, e più famosa, Pippo e il maniero del prozio Veniero, mentre poco ha a che spartire il fumetto di Guido Martina con la precedente Topolino nella casa dei fantasmi di Gottfredson e Osborne e il cui titolo originale è The Seven Ghosts. In ogni caso, il filone noir/gotico conoscerà successivi e continui sviluppi in casa Disney[2].

Martina ci offre alcune delle sue crudezze, qui però abbastanza mitigate (una testa mozza, un tentativo di omicidio tramite affogamento), ma ci propone anche un ulteriore esempio della sua abilità di verseggiatore, già palese ne L'Inferno di Topolino e utilizzata in vari altri fumetti, primo fra tutti Topolino e le delizie natalizie: nella storia in esame, le didascalie introduttive, le parole dei fantasmi, le strofette delle lenzuola stese sono composte in regolarissimi ottonari con schema di rime variabile.

La storia è del 1955 (forse scritta nel ‘54, duecento anni esatti dopo l'ipotetico acquisto del castello) e, a ridosso della realizzazione della bomba atomica, l'uranio era elemento ricercato da molti paesi, non ultimo l'India di Kalimur[3]. Se l'allusione alla micidiale bomba è drammatica, molto più divertita è la scelta del nome del delinquente: Kali Mur è una sorta di sale medicinale[4].

Si segnala infine che è presente su Facbook una recente pagina di discussione sulla storia[5].

Pubblicazioni[]

Note[]

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