- Lord Money
- Galleria
- Storie
Lord Money è un personaggio dell'universo dei paperi, apparso per la prima volta nella storia del 1962 Zio Paperone e il clavicembalo scrivano.
Biografia[]
Lord Money è un aristocratico inglese ricchissimo, anche se la sua fortuna non può competere con quella di Paperon de' Paperoni: la sua rivalità con il papero più ricco del mondo è il tema delle due storie in cui compare. Nella seconda si apprende che vive in Inghilterra nel suo castello avito, risalente all'epoca dei Normanni, servito da un impeccabile maggiordomo e da numerosi domestici; ma dopo aver raggirato Paperone convincendolo a comprare il castello, si trasferisce in città. Non si sa nulla di suoi parenti.
Aspetto fisico[]
Lord Money è un cane antropomorfo piuttosto anziano, con il mento prominente e pochi capelli e baffi bianchi; veste con raffinatezza secondo i canoni della classica eleganza inglese (giacca, cravatta, bombetta, ombrello) e al posto degli occhiali si serve di un antiquato monocolo. Secondo alcuni studiosi, per la sua immagine Scarpa si sarebbe ispirato all'attore britannico John Williams, comparso in alcune pellicole di Alfred Hitchcock[1].
Carattere[]
Lord Money ha una grande signorilità e pacatezza di modi, che riflettono un'educazione aristocratica e un autocontrollo tipicamente anglosassoni. Tuttavia, dietro questi atteggiamenti traspare una forte invidia nei confronti di Paperon de' Paperoni, che il lord cerca di imbrogliare in entrambe le storie in cui compare, mostrando comunque doti di buon affarista.
Apparizioni[]
Lord Money è stato introdotto nel 1962 nella storia Zio Paperone e il clavicembalo scrivano, poi è stato ripreso solo una volta, in Zio Paperone e il Bukara bucato di quattro anni dopo. In entrambi i casi la sceneggiatura è di Abramo Barosso e Giampaolo Barosso e i disegni sono dovuti a Romano Scarpa.
Il nome[]
Il nome di battesimo del lord è sconosciuto. Il suo cognome, che ovviamente ricorda la parola inglese money (denaro), deriva in realtà dal nome del castello, che un suo antenato chiamò così volendo significare il mio occhio, mescolando inglese e francese (mon eye).
Note[]
- ↑ Cfr. Le grandi storie, vol. 8, pag. 12.