Dopo quasi cinque minuti di avvicinamento circospetto, Mickey e Atomino arrivarono finalmente davanti alla costruzione. Come avevano avuto modo di vedere anche da lontano, l’edificio assomigliava in tutto e per tutto a un maniero medievale. Quattro torrette svettavano imperiose sulla cima, un fossato circondava l’intera struttura e un ponte levatoio chiudeva l’ingresso. Nonostante l’architettura antica, però, non doveva avere più di uno o due anni, dal momento che l’ultima volta che Mickey era passato da lì nulla vi era tranne il verde della foresta.
Inaspettatamente, il ponte levatoio si abbassò, come se qualcuno stesse invitando dentro Mickey e Atomino. I due si guardarono l’un altro con aria perplessa, dopodiché decisero, sempre con aria circospetta, di entrare.
«Sei sicuro che fosse proprio questo il luogo dal quale hai ricevuto quelle vibrazioni anomale?» Domandò dubbioso Mickey mentre lentamente varcava la soglia del castello.
«Bip! Certo che sono sicuro! In realtà la struttura atomica dell’intera zona di Topolinia e dintorni è parecchio anomala... Ma sono certo che tutto questo sconquasso provenga da qui!» Affermò Atomino con aria sicura.
Improvvisamente, però, il viso di Atomino si contrasse in una smorfia di dolore, con le mani iniziò a stringersi in sequenza alcune parti del corpo, e successivamente cominciò a urlare a squarciagola.
«Cosa ti succede, amico mio?!» Gridò preoccupato il detective chinandosi su Atomino, che nel frattempo si contorceva quasi come se fosse in preda a un attacco epilettico.
Mentre si divincolava in preda agli spasmi e sudava copiosamente, l’atomo riuscì a dire solamente, prima di ricominciare a urlare: «N-Non l-l so... Mi sento tutto come... Come se... AAAAH!»
Mickey stava cercando come più poteva di prestare soccorso ad Atomino, ma non sapendo cosa lo stesse tormentando in tal modo, non poté fare molto di più di starsene a guardare l’amico soffrire. Nel frattempo, in un’altra stanza del maniero, un’ombra osservava la scena attraverso un monitor, e sul suo volto si scolpì un largo ghigno compiaciuto.
«Q-Questi dolori... Non sono naturali... È come... S-Se qualcuno non volesse che io entri in questo posto... M-Mi dispiace, Topolino... Ma io n-non posso esserti d’aiuto... In queste condizioni... È m-molto meglio... Se me ne t-torno... Nella dimensione Delta... Mi dispiace...» Disse con un fil di voce , mentre nel frattempo sorrideva (seppur con aria sofferente), Atomino a Mickey.
Prima ancora che il detective potesse dire qualcosa all’amico, quindi, Atomino si dissolse in un lampo di luce, ritornando nella dimensione natia. In contemporanea con la sparizione dell’atomo, la figura dall’altra parte del castello si alzò dalla sua sedia e lasciò la stanza buia.
Mickey era ora rimasto solo, proprio nel momento in cui più gli sarebbe servito avere qualcuno accanto. Per un minuto rimase fermo immobile nello stesso punto, poi, preso dalla sua solita voglia di avventura, decise di andare a dare un’occhiata anche al resto di castello, per scoprire se davvero ci fosse qualcosa di insolito come affermava Atomino.
Attraversò per circa una ventina di metri il decorato salone in cui si trovava, dirigendosi verso l’unica porta in vista, e una volta giunto da essa, la aprì. Dall’altra parte della porta, da una piccola piazzola, si dipanavano numerose strade alternative, che andavano a formare un labirinto.
Un labirinto? Wow, molto originale...
Dopo mezzo minuto passato a pensare quale strada prendere per prima, finalmente Mickey si decise per l’ultima a destra. Da quel momento il detective si trovò imbrigliato in un complicato dedalo di corridoi, e più camminava, più si sentiva lontano dall’entrata, ma anche da una qualsiasi uscita.
Merda... Avrei dovuto escogitare qualcosa per non perdermi, prima di entrare… Come un filo di spago, o delle briciole di pane...
Mentre i minuti passavano e Mickey continuava a girare da un corridoio all’altro, le luci improvvisamente si spensero, lasciando il topo nell’oscurità più completa.
Perfetto... Ci mancava solo il black-out! Qualcuno vuole rendermi le cose difficili, a quanto pare...
Mickey riprese quindi a camminare lentamente, nel buio più completo, cercando di orizzontarsi un poco a tentoni. Ma ormai stava disperando di trovare una via d’uscita, e si era già maledetto mille volte per aver deciso di entrare in quel labirinto della morte.
Dopo quasi trenta minuti che vagava senza una meta, senza riuscire a vedere un palmo dal naso, e inoltre costantemente turbato dai soliti timori che a qualsiasi essere umano vengono in una situazione di oscurità (Erano dei passi, quelli? Credo che qualcosa mi abbia sfiorato! Mi sento osservato!), Mickey si accasciò infine al suolo, rassegnato a lasciarsi morire in quel luogo. Mentre pensava tra sé e sé sul fatto che probabilmente non avrebbero mai ritrovato il suo corpo, si sentì improvvisamente tirare su da delle mani nerborute, che iniziarono a trascinarlo via verso una meta a lui sconosciuta.
Senza quasi il tempo di potersi nemmeno troppo spaventare, Mickey venne bruscamente lanciato in una stanza parzialmente illuminata, cadendo con il muso a terra.
Mentre si rialzava massaggiandosi il naso, con una mano si coprì gli occhi, dal momento che persino la poca luce presente lì gli dava un tremendo fastidio dopo mezz'ora passata al buio. Quando ancora non aveva capito bene cosa fosse successo, qualcuno iniziò a parlare.
«Le diamo il benvenuto, mister Mouse.»
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